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Vi è mai successo di sentirvi dei “diversi”? Vi capita mai di chiedervi da quale pianeta venite e soprattutto in quale mondo siete capitati? Se sapete di cosa sto parlando, conoscete anche quella sensazione di solitudine e di straniamento, a volte di inadeguatezza che ci annega l’anima quando la distanza tra noi e il mondo sembra incolmabile.

Quel vuoto ognuno lo vive e lo affronta a modo suo. C’è chi fa finta di niente, c’è chi finge di essere altro da sé per non soffrire troppo, c’è chi al contrario ne patisce il peso e si chiede il senso di quella tristezza o di quel dolore. C’è chi cerca conforto nell’attività fisica, chi in una birra e chi si mette in cammino affidandosi alla psicoterapia, al counseling, al coaching, alla meditazione, allo yoga, alla biodanza o ad altre vie di sviluppo personale.

Ho sperimentato sulla mia pelle tante vie proprio perché conosco quel senso di vuoto e di straniamento. Credo fermamente che la strada sia diversa per ciascuno e non sarò io a svelarvi qui il segreto giusto per voi, ma tenterò di darvi qualche spunto.

Sono fermamente convinta che noi siamo innanzitutto relazione. Aristotele chiamava l’essere umano Zon Politicon per definire la sua natura sociale. Abbiamo bisogno di una comunità per definirci ed è proprio la comunità in cui viviamo che ci permette di costruire la nostra identità. Se poi facciamo lo sforzo di guardare un po’ più in là dei confini della natura umana, possiamo notare che tutto è relazione. Gli atomi e le molecole creano vita perché si relazionano gli uni agli altri ed è proprio l’infinita varietà dei legami tra essi che crea tutta la bellezza che ci circonda. D’altra parte, come suggeriscono il Buddhismo e altre tradizioni, ciò che accade fuori di noi è una nostra proiezione, una sorta di specchio, e se questo non vi convincesse, pensate anche solo a quale grande differenza fa il modo in cui noi ci relazioniamo a eventi, cose e persone.

Che si tratti di religioni, visioni filosofiche o convinzioni personali, ho imparato mettendomi in gioco ogni volta che non esiste cammino di crescita che escluda la relazione. Non può bastare isolarsi, chiudersi, nascondersi, anche se per un certo tempo e in certi casi, raggomitolarsi su sé stessi può dare beneficio. Tuttavia, dimenticarsi che siamo relazione, non ci porta da nessuna parte.

Nei momenti più complessi e delicati occorre ripristinare prima di tutto il dialogo con sé stessi, prendere coscienza delle proprie emozioni, dei propri pensieri e del proprio agire e lo si può fare in infiniti modi. Beninteso guardarsi dentro non vuol dire dimenticarsi del mondo, ma piuttosto accorgersi di quale mondo ci abita. Dentro di noi c’è un panorama variegato di voci, di istanze psichiche e di forze spesso tra loro contrastanti. La nostra vita interiore somiglia infatti ad un palcoscenico dove si muovono tanti personaggi, e ognuno di essi prende le mosse da qualcosa che abbiamo imparato, dal rapporto con le figure educanti più significative, da pensieri e abitudini che abbiamo introiettato, da storie che abbiamo “ereditato” dalla nostra famiglia e da costumi sociali che ci hanno condizionato negli anni. Prendere coscienza di tutto questo vuole dire smettere di dare per scontato idee e convinzioni e potersi riappropriare della regia dello spettacolo senza subire i capricci dei personaggi.

Come fare?

La priorità è rallentare e crearsi quotidiane oasi di silenzio e di quiete in cui respirare, meditare e osservarsi, notare ciò che accade dentro, prenderne nota. È altrettanto utile lasciare che qualcuno ci ascolti e ci restituisca magari aspetti di noi che non abbiamo visto o di cui potremmo prendere maggiore coscienza. Prezioso è anche il gruppo con cui condividere i propri passi e nel quale trovare conforto, sostegno, scambio. L’obbiettivo in questa fase è quello di fare una sorta di zoom out che ci aiuta a guardare da una prospettiva più ampia e globale il nostro mondo interiore.

È un lavoro impegnativo e lungo, forse infinito. È una presa di responsabilità necessaria se vogliamo migliorare il nostro stare nel mondo. Ed è proprio questo il punto. Ogni lavoro di crescita interiore deve avere come traguardo una nostra migliore capacità di stare in relazione prima con noi stessi e poi con gli altri.

Così, intensificando e armonizzando il nostro dialogo interiore e vivendo più consapevolmente le nostre relazioni con ciò che sta fuori di noi (o che ci appare come esterno) possiamo fare esperienza e prenderci man mano la responsabilità di quel che vediamo, viviamo e sentiamo, agendo consapevolmente per migliorare le cose.

Possiamo guardare con aria sognante un fiore cresciuto solitario in mezzo al sentiero, entrare in empatia con quel filo d’erba che buca l’asfalto e accarezzarci pensieri con l’idea che se ce l’hanno fatta loro possiamo farcela anche noi. Ed è vero. Ma alla base della questione resta la responsabilità – solo nostra – di riconoscere i condizionamenti e i limiti che abbiamo più o meno consapevolmente introiettato, per poi liberarci dalle catene e diventare giorno per giorno sempre più noi stessi.

E ricordiamoci: Non siamo collegati solo in verticale dalla terra al cielo, ma siamo intrecciati indissolubilmente in in infinite direzioni con tutto il vivente e e il reale.

Buon cammino di consapevolezza e di relazione a tutti!

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