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Vi è mai successo di non saper scegliere, di non sapere se accettare o rifiutare? Cosa c’è dietro un sì o un no? Perché quattro lettere fanno tanto chiasso?

Nella vita siamo chiamati a scegliere continuamente tra il dire di sì e il dire di no. Accetto o rifiuto quella proposta? Mi conviene o no? Me lo posso permettere o no? É buono per me o no? É giusto accettare o è meglio lasciare perdere? A ben guardare, ogni nostro giorno è costellato di scelte, e se non ce ne rendiamo conto, significa che abbiamo smarrito lontano il nostro potere personale e la nostra libertà. La verità è che possiamo sempre scegliere, anche quando ci sembra il contrario. Di fatto anche quando rispettiamo quelle che chiamiamo “regole”, stiamo scegliendo per un verso e non per l’altro. Non si tratta di inneggiare alla rivoluzione e all’anarchia, ma solo di prendere consapevolezza del proprio potere decisionale, ricollegarsi alla propria libertà e alla responsabilità che ne è specchio.

Semplificando molto potremmo dire che se dire sì significa accogliere, dire no equivale a respingere. Secoli di condizionamento culturale e sociale ci hanno insegnato che dire sì è fondamentale, che è giusto accogliere e che è doveroso accettare. Al contrario un rifiuto è sempre qualcosa di sgradito, che ha il sapore amaro dell’ingiusto e si avvicina talvolta alla colpa dell’ingratitudine. E – stupore generale – gli studi scientifici dimostrano che è molto più difficile dire no piuttosto che pronunciare un sì e che questa difficoltà è ancora più grande per le donne…

Personalmente sono una tifosa del Sì perché ritengo che come in cammino, anche nella vita qualunque cosa arrivi, che sia sole o pioggia, vada respirata e vissuta al fine di poter imparare qualcosa di noi e del sentiero. D’altra parte, non solo in quanto donna, conosco la difficoltà di dire no e anche la frustrazione che deriva dallo sforzo che comporta accettare qualcosa che in realtà vorremmo rifiutare.

Cosa c’è dentro ad un no, da impedirci così spesso di pronunciarlo?

Dire no a qualcosa o a qualcuno significa testimoniare un disaccordo e dunque creare una distanza, una distanza che di certo riguarda le idee e le opinioni, ma che temiamo possa incrinare le relazioni e “rovinare” legami e sodalizi. In altre parole capita di non dire no per paura di essere giudicati e dunque allontanati, e questa paura è tanto più grande e forte quando in gioco ci sono legami profondi e di famiglia. La paura di restare soli e privi di aiuto, la paura di trovarsi isolati e incompresi, la paura di rimanere senza risorse e senza energia, in definitiva la paura della morte, ci confondono le idee e ci impediscono di sentire ciò che vogliamo o che non vogliamo. Così temendo il dolore, dimentichiamo di ascoltarci.

A ciò si aggiunga che può succedere di dire sì per la paura di perdere un’occasione che potrebbe non tornare mai più. Anche qui è la paura a governare la scelta. Non si ha abbastanza fede nella vita e nell’Universo per seguire quello che comanda il nostro Sé profondo.

Mi sono chiesta più volte se esiste un criterio che possa guidarci tra i Sì e i No di ogni giorno e – naturalmente – la risposta è no. Non può esistere un criterio uguale per tutti, non può esistere una regola né una risposta efficace perché siamo tutti diversi e ancora una volta diremmo di Sì e di No in base a generalizzazioni e stereotipi.

Mentre i dubbi ci attraversano la mente, occorre sapere innanzitutto riconoscere il dono di poter dondolare tra due o più alternative. Stare nella consapevolezza di avere la possibilità di scegliere è fondamentale per riconoscere di essere liberi. Poter scegliere è un dono, anche quando vorremmo avere un unico binario, rigido e preordinato con la garanzia dell’esattezza. Se riusciamo a notare il dono che è la scelta, l’alternativa e lo stesso dubbio, stiamo già facendo un passo importante nel riconoscere il valore nell’intero processo, in ogni fase della ricerca e non solo nell’esito finale. Come a dire che ci si pone davanti una scelta non perché dovviamo arrivare ad na risposta, ma perché dobbiamo vivere l’avventura della ricerca dentro di noi, evocare emozioni, pensieri, riflessioni e possibilità. Questa fortuna non ce l’hanno i robot che invidiamo quando l’indecisione si impossessa di noi. Ricordiamocelo.

C’è di più: tutti noi possiamo anche sbagliare, ammesso che esista qualcosa come lo sbaglio o l’errore, e mi permetto di insinuare il dubbio che qui bisognerebbe cominciare a parlare di fede. Spesso ad offuscare la mente è la paura di fare la cosa sbagliata, come se non fosse concesso tentare, come se oggi più che mai, l’importante fosse davvero sempre e solo il risultato, il profitto, la performance. Se ci permettiamo di uscire dalla logica del profitto ad ogni costo e se per un attimo sospendiamo gli imperativi morali, forse possiamo vivere la scelta in un modo nuovo, più complesso ma anche più completo. In altre parole non sono sicura che la domanda da farsi sia “Qual è la cosa giusta da fare?” a meno che insieme a questo, non ci si voglia porre altri quesiti quali ad esempio “Giusto per chi? Giusto in base a quali valori? Giusto in quale prospettiva e contesto?”.

E’ solo dopo avere impostato lo zoom out e avere compreso dentro di sé ogni emozione e ogni pensiero emersi nel processo, che possiamo avvicinarci alla fase “conclusiva”, tenendo a mente che non scegliere è solo un’altra scelta possibile e non la soluzione del dilemma.

Avremo valutato ragionevolmente costi e benefici, risultati attesi e rischi, avremo fantasticato sul futuro e sui cambiamenti legati alla scelta. Eppure – forse capita solo a me? – ci sono situazioni in cui il calcolo dei costi/benefici non sembra sufficiente per operare una scelta.

Personalmente in questi casi ho imparato – che mi riesca ogni volta non lo dirò! – che può essere utile chiedersi quali spinte stanno sotto la superficie e quali energie animano la scelta, qualunque essa sia. Scegliere sull’onda di troppe valutazioni logiche non mi sembra sempre un’idea brillante, per cui per le scelte più delicate non mi affido solo al mio “proverbiale” acume mentale, ma piuttosto ad una passeggiata, al silenzio di un albero, ad una danza, ad una dormita o ad una meditazione.

C’è un punto in cui credo molto: Fa una grande differenza scegliere di agire per paura o viceversa per coraggio, in in base alla logica della povertà o della ricchezza. In altre parole non è così rilevante se arriveremo ad un sì o ad un no, quanto piuttosto la motivazione che ci spinge.

Scegliamo piegandoci alla nostra paura (qualunque sia – paura di ammalarci, restare poveri, soli, incompresi, isolati e infelici)? Oppure al contrario agiamo assecondando il nostro coraggio, la nostra libertà e la nostra autenticità? Facciamo qualcosa per calmare i nostri timori di non ricevere l’approvazione altrui oppure prendiamo quella strada perché la sentiamo nostra? Intraprendiamo un sentiero perché qualcuno ci ha chiesto di seguirlo o al contrario perché ci attrae nel profondo?

Si tratta di cogliere le sfumature, magari i dettagli sfuocati e le forme confuse. Si tratta di notare la danza degli opposti, sentire l’entusiasmo e la paura, il coraggio e l’indecisione, la forza e la fragilità. C’è tutto questo dentro un Sì e dentro un No e vale la pena ricordarselo per evitare che le emozioni trascurate ci atterrino. Ognuno di noi ha la sua personale modalità di ascoltarsi e comprendersi ma quello che fa davvero la differenza è sempre la fede con cui coraggiosamente si sceglie.

Non è che la paura è sbagliata e il coraggio invece è giusto. Anche la paura ha un suo valore e non va cancellata, né negata. Il tempo della paura esiste e va vissuto a fondo perché solo ascoltando quella paura possiamo poi trovare – o meglio ritrovare – il coraggio che ne è lo specchio.

Coraggio come amore.

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