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Dal 9 al 15 Maggio ho partecipato al cicloviaggio in Sardegna organizzato dalla Fondazione per lo Sport Silvia Parente di Bologna. Per me è stato come un sogno, un susseguirsi di immagini e sensazioni che hanno lasciato la loro traccia fin sotto pelle.  

Come ogni viaggio anche questo è iniziato quando ho cominciato a desiderarlo, e cioè mentre leggevo i messaggi compiaciuti della guida che qualche mese fa si trovava in loco per i sopraluoghi. La Sardegna mi ha sempre attratta e poi conquistata, da bambina e da adulta, e avevo giurato a me stessa che ci sarei tornata per guardarla da una prospettiva diversa.  Ecco fatto!

Dopo il confuso saluto con gli altri partecipanti e il viaggio in furgone verso Livorno, il traghetto ci ha accolti con quella miscela di odore di salsedine e metallo, con lo sferragliare delle rampe con lo stridere degli pneumatici e le voci dei parcheggiatori che baccagliavano su dove posizionare i mezzi.

Ed eccoci già intenti a salire fin su, dove il vento era così forte che sembrava portarci via. E lì, aprire le braccia, lasciare che la salsedine arruffasse i capelli e le folate di vento ci dessero una spinta all’indietro. Rinunciare ad opporre resistenza per un attimo, sentire lo spintone e lasciarsi cadere indietro, urlacchiando come bambine finché una raffica ancor più dispettosa non ci zittiva. Ridere e giocare, così, per celebrare i giorni che ci attendevano e la gioia di essere proprio lì, sul traghetto e sotto il cielo buio.

Quel vento perturbante, quasi isterico e violento ce lo siamo portati addosso quasi ogni giorno, per tutta la vacanza. Agitava il mare che ci ha tenuto a debita distanza con le sue onde arroganti e i suoi schizzi irriverenti. Trasformava le discese in battaglie muscolari senza sollievo, scompigliava capelli e pensieri a noi gente di pianura poco avvezza al fare selvatico del cielo di Sardegna. Un vento che qualcuno ha avvertito come irritante, un vento che mi ha costretta a riflettere sulla forza di ciò che è leggero e impalpabile, e ad apprezzare ancora una volta anche quel singolo sbuffo capace di cancellare voci, pensieri e fantasie per imporre solo l’attimo presente. Quanta forza invisibile, quanta spinta e quanta resistenza, quanta tensione nelle braccia per tenere il manubrio, quanto sforzo per procedere e infine che leggerezza sul petto quando la bufera si placava.

A riparo dal vento ammiravo i contrasti di quella terra sacra, il mare e il cielo che si confondevano sull’orizzonte che non vedo più, il gelsomino che imponeva la sua presenza a metri di distanza e fregandosene della nostra velocità, la mentuccia e le altre erbe aromatiche ad accarezzarci le narici, i fiori e le piante più discrete che arrivavano a noi solo grazie alle pause e alle indicazioni delle guide. Profumi, ombre, luci, gli scatti dei pedali e le buche sull’asfalto, il sole torrido e le nuvole gelide controvento. La forsennata danza degli opposti, un ritmo frenetico che passa dal sudore della salita al brivido della discesa. Dalla stradina bianca deliziosa e composta alla ruota che perde aderenza mentre vai giù, dal verde dei prati al candore sfacciato dei blocchi granitici della Valle della Luna.

Dove siamo noi nella tempesta che è la vita? Dove trovare la forza e la determinazione per procedere quando il vento soffia contro? Come fare sintesi tra il fuoco del sole e i brividi di freddo che ti percorrono mentre ti diluvia addosso?

Da quando l’anno scorso ho riscoperto la magia e il fuoco della mountain bike (tandem ben inteso)  ho avuto la fortuna di percorrere strade e sentieri molto diversi, qui nella splendida Emilia, intorno ai magici Monti Sibillini, e ora anche in Sardegna. Amo sentire che sto conquistando la salita, e amo pedalare in piano godendomi l’aria fresca fuori dalla città, ma ciò che amo di più è la discesa, e più è veloce, più la amo. Mi sento sicura quando vado veloce mentre cedo alla tensione se i freni sono tirati. Accetto la paura della discesa sullo sterrato perché so che porta con sé il brivido di essere viva metro dopo metro, ma mi diverto come una pazza quando ci si lancia giù per una strada asfaltata e chiudendo gli occhi restano solo il vento e l’ondeggiare del bacino per assecondare le curve. Sì, perché è vero che la soddisfazione di avere percorso una trentina di tornanti per arrivare in cima ti fa sentire un eroe, ma il godimento del tutto erotico di una discesa ben fatta, asfaltata o sterrata, dritta o piena di curve che sia, lunga o corta, mi rimette sempre al mondo.

Ma la vita alterna le mie amate discese a salite dure che paiono senza fine e a tratti di strada apparentemente poco interessanti perché privi di alcuna pendenza. Così mentre pedalo, mi capita spesso di riflettere su questa costante alternanza e sulla flessibilità che dobbiamo mantenere per assecondare gli imprevisti e le sorprese dell’esistenza. Resistere e dare il meglio di sé nello sforzo, lasciarsi cullare dal moto ciclico e regolare della pedalata in piano e poi affidarsi al brivido al momento giusto.

Come trovare quella fluidità quando la vita ci sembra fin troppo incasellata e momotona per tutto questo? Come ricordarsi che tutto cambia e che sta a noi cambiare insieme alla strada, al cielo e alla terra? Come restarci fedeli mentre la strada impone buche, dossi, ostacoli, intemperie e sorprese varie?

Neanche a farlo apposta, anche nella mountain bike, e forse qui più che altrove, ho la possibilità di riflettere sulla “relazione”, intesa come quel mistero che non è l’una o l’altra cosa, ma lo spazio che le unisce e le separa, quel dinamico risultato mai pienamente prevedibile che nasce dall’interazione, dalla danza di due che possono essere uno… O forse tre.

Pedalare insieme significa mettersi in gioco, cercare un ritmo comune, e rispettare i propri spazi. Chi è davanti guida, chi è dietro si affida e sostiene. Almeno questo è ciò che vivo io. Iniziare a pedalare con un driver nuovo non è qualcosa di scontato: al contrario significa prima di tutto osservare e ascoltare lo stile dell’altro e solo dopo andare in cerca di un’intesa. Perché trovare un’intesa, in tandem come nelle relazioni, non è qualcosa che deve necessariamente accadere immediatamente e in qualunque situazione.

Ho incontrato piloti che mi sono piaciuti immediatamente e con cui mi sono sentita subito al sicuro, ma coi quali non ho ancora sentito “tutti i brividi del mondo” come direbbe Anna Oxa. Mi è successo di provare un certo disagio con chi poi – col tempo – si è rivelato un pilota quasi ideale per me. Ci sono piloti con cui sono felice di affrontare percorsi accidentati che non affronterei a cuor leggero con altri, e ci sono i piloti a cui mi viene voglia di chiedere i brividi perché so che non mancheranno, nutrendo molta fiducia nel loro padroneggiare il mezzo.  Ci sono giorni in cui forse son più portata verso uno stile, e altri in cui ne preferirei uno differente.  E se è vero che non possiamo sempre scegliere, è pur vero che possiamo fare una scelta di consapevolezza, e nell’ascoltare quel che la vita ci propone, cercare di vivere al meglio quella danza particolare in quel preciso momento.

Tanta parte della meraviglia di quei giorni e di questo sogno sardo appartiene ai compagni con cui ho condiviso l’avventura. Salite, discese, fatiche e cadute comprese. Ognuno di loro mi ha regalato uno sguardo diverso, una prospettiva differente, uno specchio nuovo in cui riflettermi, perdermi e ritrovarmi.

Mi sono lasciata rapire e attraversare da quella meraviglia, fino a voler scolpire non solo le loro voci, ma anche i loro occhi dentro l’anima, avvicinandomi un po’ di più. Ho avuto la fortuna di respirare la loro bellezza, le loro ombre e le loro luci. Mi sono avvicinata per osservarne la forza e anche la fragilità, la loro e la mia.

E anche stavolta mi sono innamorata: del vento irritante, degli sguardi sfuggenti e delle discese interrotte, della poesia del turpiloquio e di quelle stelle che riesco a scorgere laddove non esistono lampioni, neon e fari a distrarre i miei occhi sghembi da ciò che importa davvero.

E insieme ai graffi e alle botte, resta il senso di gratitudine: verso me stessa per essermi data questa possibilità, verso chi ha reso concreto e vivibile questo sogno, verso ogni bell’anima con cui ho condiviso risate, lacrime, paura e coraggio.

Fondazione per lo Sport Silvia Parente: http://www.fondazioneperlosport.com/

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