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Siamo le nostre relazioni. Il nostro senso di identità si costruisce – oltre che sull’immagine che abbiamo di noi stessi – anche sulle immagini di noi che ci vengono restituite nelle relazioni che intrecciamo con gli altri, dai famigliari al partner, dagli amici ai colleghi alla comunità di appartenenza.

Ma cosa accade quando qualcosa nelle nostre relazioni stride e non ci risuona più?

Capita a volte (soprattutto sotto certe Lune Piene) di sentirsi stretti e scomodi all’interno delle relazioni per noi più significative. Qualcosa non ci nutre più, anzi sembra soffocarci e certe abitudini ci sembrano d’un tratto insensate o insopportabili. Altre volte il disagio cresce piano piano, fino ad esplodere all’improvviso senza una ragione apparente.

Nella confusione di quei momenti sentiamo che l’immagine che gli altri hanno di noi non ci piace, non ci appartiene, non ci rispecchia, mentre l’altro ci sembra ad un tratto intollerabile.

Così – col frastuono delle nostre sensazioni e a braccetto coi vari fantasmi ci avviciniamo all’altro e gli scarichiamo addosso responsabilità che forse – e dico forse – sono nostre. Si parte dal “non mi capisce” per arrivare a “Prima non era così” fino a “Mi sta addosso” o peggio “Ce l’ha con me”. E il protagonista delle accuse diventa magicamente l’altro mentre noi, scaricando il malloppo, non ci ascoltiamo e azzeriamo il nostro potere di cambiare le cose.

Se la responsabilità e cioè l’abilità a rispondere – la diamo tutta all’altro, noi possiamo solo essere vittime passive e inermi. Dell’altro le colpe, dell’altro le azioni, dell’altro gli errori. E noi dove siamo?

Specchi infranti

Spesso mi avrete sentita dire che siamo specchi gli uni degli altri. Questo non significa che se sono davanti alla TV e resto turbata mentre Hannibal Lecter fa le peggio cose, io sono come lui. La questione è un po’ più sottile e ha molto a che fare con il concetto buddhista per cui ciò che accade fuori è proiezione di quel che si muove dentro. Ciò implica che se sono in una relazione e l’altro agisce in un modo che provoca in me reazioni emotive forti, dovrò necessariamente prendermi io stessa la responsabilità di quel sentire, e fare luce dentro di me rispetto agli schemi di azione-reazione che si innescano. Come mi sento di fronte a questo o quel modo di fare? Quali pensieri formula la mia mente e quali emozioni mi scuotono la pancia?

Ascoltare, accogliere, riconoscere il nostro mondo interiore è il passo necessario a riprendersi il potere personale che abbiamo ceduto all’altro quando gli abbiamo dato la colpa di come stiamo.

Come a dire che se ci guardiamo allo specchio e notiamo che i capelli sono in disordine, risolveremo davvero poco tentando di pettinare lo specchio.

Guardarsi senza giudizio

Prendere consapevolezza delle proprie emozioni, reazioni e schemi non vuole dire accettare qualunque tipo di relazione. Al contrario dopo aver respirato in ciò che accade, dopo aver osservato senza giudicare come buono o cattivo quello che sentiamo, possiamo alleggerire l’altro di colpe che non ha e andare a indagare con onestà quali siano i nostri bisogni e desideri attuali. Per questo serve tempo, spazio, silenzio e tanta tanta accoglienza nei nostri stessi confronti. Non serve giudicarsi o forzarsi, agire d‘impulso o fare baccano. Piuttosto si rivela molto più efficace osservarsi e ascoltarsi, magari lasciandosi aiutare da un professionista, e prendere progressivamente contatto con le parti più profonde di noi che determinano anche la natura delle nostre relazioni.

Purtroppo a volte, intrapreso questo sentiero, si scopre che una relazione – nel suo stato attuale – non è più in armonia coi nostri bisogni, coi nostri desideri, coi nostri sogni e progetti, non rispecchia più – insomma – il nostro essere attuale.

Sono momenti dolorosi, difficili, a tratti cupi. Possiamo sentirci soli, smarriti, confusi, addirittura sbagliati e più di tutto potremmo sentire mordere il senso del fallimento.

Questo sentire non riguarda solo le relazioni di coppia ma anche quelle di amicizia, i gruppi o i sodalizi di altro genere.   Diverse le intensità, simili le emozioni.

Permettersi la trasformazione

C’è una frase che ho sentito pronunciare a qualche Guru e che suona più o meno così: “Stare nella relazione sbagliata fa male almeno a 4 persone”. Era un modo per dire che se restiamo in una relazione di coppia dove non siamo felici, stiamo condannando alla sofferenza noi stessi ma anche il nostro partner che merita quanto noi di vivere nella gioia, e se assumiamo il paradigma monogamo, stiamo impedendo anche ad altri due individui, nostri potenziali partner, di stare bene e gioire di una relazione nutriente.

Ebbene io credo che questo assunto si possa applicare in senso anche più ampio alla nostra vita di relazione. Se dobbiamo sforzarci oltremodo di stare in un’amicizia o in un team di lavoro o in una comunità, forse qualche domanda dovrebbe sorgere. Stare in relazione è sempre un impegno, un dispendio di energia e un atto di dedizione, ma tutto questo non deve svilire la nostra natura, quanto piuttosto aiutarci a farla risplendere, nutrirci pancia e cuore, donarci gioia, almeno un po’.

Se siamo capaci di concedere a noi stessi questa possibilità di espansione e ripartiamo da quello che sentiamo (rabbia, frustrazione, delusione, tristezza comprese), possiamo trovare la determinazione per fare luce sui nostri desideri. Forse che possiamo trasformare il nostro modo di stare in quella relazione? Forse che – al netto di quel che abbiamo visto dentro di noi – possiamo condividere con l’altro i nostri sentimenti e magari trovare nuovi accordi per fare e stare insieme?

A volte basta cambiare il proprio modo di comunicare, partendo da sé stessi e da come ci si sente, per andare incontro ad un nuovo equilibrio, che si tratti di collaborazione, di amicizia o di rapporto di coppia.

Il coraggio di lasciare andare

Quando analizzarsi, ascoltarsi, modificare i propri atteggiamenti e concordare nuovi accordi non è sufficiente o non è possibile, la scelta si fa urgente. Restare in una situazione che non ci nutre più o andare incontro all’ignoto?

Sono fasi delicatissime che ci chiedono tanta cura, tanto ascolto e anche tanta pazienza, e nulla servono i giudizi o i dictat moralistici.

Più la relazione è intensa e rilevante, più la questione riguarda la nostra stessa identità. Si tratta di restare centrati su di sé, di dedicare spazio e attenzione alle emozioni e alle paturnie della mente, imparare a distinguere nel groviglio ciò che dicono la testa e la gente da quello che urlano la pancia, il cuore e l’anima. E in questa fase i condizionamenti sono così tanti e così chiassosi, che è facile perdersi.
Tra tutte le voci che schiamazzano e borbottano nella testa potremmo anche sentirne una che sostiene che se lasciamo o lasciamo andare la persona con cui non stiamo bene, la faremo soffrire. Spesso si tratta di una proiezione della nostra paura del dolore. In una relazione tra persone consapevoli, è chiaro che ognuno è responsabile del suo dolore e della sua gioia e ognuno è tenuto ad ascoltare bisogni e desideri, a dare il proprio meglio con amore ma senza annullarsi e senza proiettare sull’altro quel che sta dentro di sé.

Concedersi di “sbagliare”

Che si tratti di una relazione sentimentale, amicale, famigliare o di un legame professionale o sociale, entrano in gioco fattori strettamente legati al senso di identità. Ci sono i nostri vissuti emotivi, le nostre esperienze passate, l’educazione che abbiamo ricevuto e anche quella che abbiamo subito, i condizionamenti culturali e sociali, le convinzioni più profonde sul nostro valore e sul nostro diritto di essere felici.

La mente comincia a vagare nel passato, si perde tra i fantasmi di tutti i dolori che si sono incastrati sotto la pelle, i giudizi e le accuse a cui siamo stati sottoposti e tutta la sofferenza che ci sembra sia derivata da quelli che abbiamo classificato come errori.

In questo marasma ci si sente facilmente congelati, bloccati, quanto meno indecisi su cosa fare.

Come superare la fase di blocco? Ci sono due strumenti: l’ascolto e l’azione. Avere paura è normale e la paura è parte integrante di ogni scelta di rilievo nella vita. Dunque la paura, quando arriva, va ascoltata perché ci dice tanto di noi e della situazione su cui stiamo riflettendo.

Poi però c’è l’azione.

La paura è l’altra faccia del coraggio dicono i saggi. Ed è proprio dando fondo al coraggio che possiamo uscire dall’empasse.

Occorre darsi il permesso di sbagliare, ricordandosi che non siamo anche ma non solo quello che facciamo e tanto meno siamo i risultati che otteniamo. Prendiamoci la responsabilità di fare del nostro meglio, seguiamo quello che ci pulsa dentro e prendiamoci cura di ciò che potrà seguire alle nostre scelte. Ma facciamolo onestamente, ricordandoci che siamo i primi a cui dobbiamo rendere conto e che ogni scelta che compiamo nel nome dell’autenticità farà bene sia a noi sia – soprattutto a lungo termine – a chi ci sta vicino.

Se ci tremano le gambe e ci sentiamo bloccati proviamo a pensare a ciò che ripeteva Rolando Toro, pricoterapeuta e artista cileno ideatore della Biodanza: Prima di pensare, agisci tre volte. E in questo agire mi permetto di includere il ritorno a noi, al nostro silenzio, al nostro respiro.

E mentre respiriamo e ci prendiamo cura delle nostre paure, delle nostre lacrime e del nostro dolore, teniamo a mente che gli errori hanno plasmato la storia e forse, se ripercorriamo la nostra vita, quelli che alla mente calcolatrice sono sembrati errori, ci hanno portati verso una migliore versione di noi.

Sotto questa Luna Piena in Scorpione è ora di guardare sotto il tappeto, di illuminare le cantine, di riconoscere quel che c’è. E laddove tutto questo è importante per noi, prendiamoci il tempo e lo spazio per integrarlo e viverlo.

Col coraggio dell’Amore, suprema Legge dell’Universo.

Veduta di una vallata dall'interno di una grotta

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